Ho partorito... e adesso?
Il periodo dopo il parto è un periodo particolarmente delicato per la neomamma che, spesso, durante la gravidanza non viene preso in considerazione perché, come è giusto che sia, la futura mamma si focalizza maggiormente sulla gravidanza e sul parto piuttosto che su quello che avverrà successivamente. È assolutamente normale anche se è importante iniziare a considerare che il post parto non sarà una passeggiata e bisogna essere preparati. Preparati a cosa? innanzitutto ai cambiamenti fisiologici che la donna vivrà. Gli organi si devono riassestare e ritornare nella loro posizione e l’attività ormonale può giocare brutti scherzi facendo vivere alla donna un periodo più o meno disforico fatto di emozioni e sensazioni intense e contrastanti. Non di rado si vede una neomamma ridere un secondo prima e piangere un secondo dopo e, probabilmente, senza saperne il motivo.
Una volta partorito, la donna vive un tripudio di emozioni e sensazioni incredibili che io riassumo in 4 domande che la neomamma può porsi:
E tu chi sei?
La prima importante emozione che una mamma vive, sia che faccia un parto naturale sia che faccia un parto cesareo, è l’incontro con il proprio bambino. Un incontro incredibile che, generalmente, avviene dopo pochi secondi dalla nascita con un metodo chiamato Skin to Skin (pelle contro pelle) per aiutare il bambino ad orientarsi nel mondo grazie a chi già conosceva prima: la sua mamma. Lo Skin to Skin consente al neonato di entrare in contatto con l’odore della sua mamma, con il battito del suo cuore e la sua voce che lo hanno cullato nella vita intrauterina. Non sempre, però, questo incontro è idilliaco come fanno vedere nei film. Bisogna tenere in considerazione due aspetti importanti: primo fra tutti il fatto che la mamma è esausta dopo le fatiche del parto e non ha ancora ben realizzato di esserci riuscita, di avercela fatta, di aver dato la vita. Un altro aspetto importante da non sottovalutare è legato alle aspettative che la mamma si è costruita sul bambino durante la gravidanza. Per 9 mesi la donna ha sognato il bambino, se lo è immaginata, si è prefigurata la sua fisionomia, come anche il suo carattere. Per questi due motivi capita che il colpo di fulmine mamma-bambino non scatti immediatamente. Questo non rende la donna un’aliena o un mostro né, tantomeno, vuol dire che non ami il proprio bambino. Molte donne riferiscono di essersi innamorate del proprio bambino dopo un po’ di tempo, quando la relazione si è instaurata e si è creato un clima armonioso di conoscenza e rispetto reciproco. D'altronde anche in amore funziona in questo modo. Difficilmente assistiamo a colpi di fulmine e, anche quando questi avvengono, hanno bisogno di tempo per poterli definire amori con la A maiuscola. Quegli amori che non sono trasportati dalla passione ma da qualcosa di decisamente più profondo e duraturo nel tempo.
Dove è finita la mia pancia?
Una sensazione che accomuna molte donne. Non riguarda tanto il desiderio di avere la pancia (quale donna desidererebbe avere una pancia prominente e qualche chilo di troppo?) ma ciò che stava dietro la pancia, o meglio dentro la pancia. Il processo di separazione tra la mamma e il suo bambino non è da sottovalutare perché, se non lo si supera adeguatamente, può portare a sviluppare la depressione post partum. Una volta partorito la donna si ritrova con un estraneo fuori dalla pancia che deve imparare a conoscere e senza quel bambino immaginato che c’era dentro di lei. Come abbiamo già detto, infatti, la mamma ha ben 9 mesi per immaginarsi il bambino dentro di sé, per creare un legame con lui e per accettare e apprezzare i suoi movimenti (anche quelli che non la fanno dormire la notte!). E dopo 9 mesi tutto riparte da capo, le certezze di quel bambino dentro di sé svaniscono per dare vita ad un bambino reale, non più immaginato.
Mi fai capire quello che vuoi?
Il modo di comunicare di un neonato è decisamente diverso rispetto a quello di un adulto. Non è una scoperta ciò che sto dicendo e penso che qualunque donna abbia tenuto in conto di questa differenza di comunicazione. Ma vi assicuro che, nonostante ciò, quando ci si ritrova di fronte al bambino, tutte le consapevolezze e le certezze svaniscono per lasciare spazio ad un solo commento che può suonare più o meno così: “Ma io non lo capisco proprio. Cosa vuole?”. Avrà fame, avrà sonno, avrà le coliche, avrà il nasino tappato, e via dicendo. Le classiche domande che si pongono disperate all’ostetrica, al pediatra, alla propria mamma, all'amica e all’amica dell’amica. Della serie “Chiedo un po’ a tutti, magari qualcuno mi illuminerà”. In questa circostanza, ecco che viene in aiuto il nostro istinto che già si prepara a questo interrogativo durante la gravidanza. Infatti, la donna, durante i 9 mesi, ritorna bambina. Vive, cioè, un processo regressivo perché il neonato non comunica come gli adulti e la mamma deve imparare a capirlo, a comprenderlo anche senza parole. Regredendo al suo essere stata bambina, la mamma cerca di registrarsi ed entrare in sintonia, come meglio può, col mondo del bambino. Questo processo non si verifica solo nella mamma. Basta fare un giretto davanti alla nursery di un ospedale oppure vedere come reagisce un adulto di fronte ad un neonato. Il suo volto cambia, diventa più dolce e la sua mimica facciale diventa molto più pronunciata. E non solo. Anche la voce cambia e diventa più tenera, marcata e ricca di diminutivi e vezzeggiativi, come se, parlando in quel modo, il neonato ci possa capire di più. Sappiamo perfettamente che ciò non è vero ma, per noi adulti, questo è un istinto naturale che ci spinge a volerci sintonizzare con il mondo del bambino come meglio si può. La regressione verso un mondo che tutti noi abbiamo vissuto ci consente di avvicinarci il più possibile al linguaggio del neonato per comprenderne le esigenze e soddisfarle.
Ce la farò?
Ed eccoci al classico dilemma che attanaglia la maggior parte delle mamme. A dir la verità la tipica frase “Ce la farò” rimbomba nella mente delle mamme anche durante la gravidanza. E’ assolutamente normale che la donna si ponga questo interrogativo, anzi. Se non se lo ponesse, probabilmente, arriverebbe con delle aspettative troppo elevate e rischierebbe di rimanere scottata dalla realtà. Una realtà stupenda, si, ma, allo stesso tempo, dura e impegnativa. Se la donna non si ponesse dei dubbi sulla propria capacità genitoriale, allora probabilmente si sentirebbe spiazzata dopo. Questo non vuol dire porsi dubbi amletici o farsi dei complessi inutili, ma qualche timore, di tanto in tanto, fa più che bene per affrontare il nuovo ruolo al meglio. È un po’ come una performance: se la persona è convinta di vincere e non ha un minimo di stress o paura è difficile che riuscirà nel suo intento. Stress e paura a livelli moderati sono, infatti, propulsori d’azione e consentono performance sempre migliori.
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